Quando si fa cenno al tema dell’intelligenza artificiale – da sempre invisa agli uomini, perché si teme che possa sostituirsi a quella umana – la mente va subito alle Storie naturali di Damiano Malabaila (alias Primo Levi), uscite per Einaudi più di mezzo secolo fa, nel 1966. In questi brevi racconti, infatti, lo scrittore torinese anticipa potenzialità e limiti della moderna biotecnologia. Tra quelle storie ce n’è una che, forse meglio delle altre, evidenzia quei timori, anche attraverso l’immancabile vena leviana dell’ironia e dell’umorismo: Alcune applicazioni del Mimete, che è la continuazione di un precedente racconto, L’ordine a buon mercato.
La particolarità di questo racconto alquanto strano consiste nella cura con cui Levi tratteggia il profilo del protagonista, il ragionier Gilberto Gatti. Nell’autore si avverte in effetti una certa preoccupazione nel voler delineare il carattere di questa persona, nient’affatto strana, e ciò al punto da sottolineare più di una volta alcuni suoi tratti distintivi. Gilberto, viene infatti ribadito, “è un figlio del secolo”, “è un simbolo del nostro secolo”. Il secolo che anziché, come ci si attendeva dalle grandi esposizioni universali, far sbocciare la blaue Blume, il fiore azzurro novalisiano della pace e dell’amore ineffabile, ha visto invece rapidamente attecchire, nascere e diffondersi in profondità, in tutti i campi recintati d’Europa, il bulbo contagioso, il fiore del male e dell’odio nefando. E dice bene a tal riguardo Giovanni Tesio quando, esaminando alcuni manoscritti di Levi, ritiene che alcune delle “innaturali Storie naturali” erano già contenute nella Tregua all’inizio degli anni Sessanta (Primo Levi. Ancora qualcosa da dire, Interlinea 2018).
Il trentaquattrenne Gilberto Gatti «è un bravo impiegato […]. Non beve, non fuma, e coltiva una sola passione: quella di tormentare la materia inanimata». Amante di cibernetica e di elettronica, con la mania di montare e smontare sempre tutto, a causa del suo egocentrismo egli rappresenta «un uomo pericoloso, un piccolo prometeo nocivo: è ingenuo e irresponsabile, superbo e sciocco». All’occorrenza sarebbe capace «di costruire una bomba atomica e di lasciarla cadere su Milano ‘per vedere che effetto fa’». In ragione del suo egotismo è poi «organicamente incapace di occuparsi del suo prossimo, ed è invece offeso e stupito quando il suo prossimo non si occupa di lui». Si potrebbe forse dire che, per la sua competenza specifica, per la sua distanza dal sociale e quindi per la sua opacità sindacale, Gilberto sia una sottospecie pervertita di Libertino Faussone, poiché, a differenza di quest’ultimo, il ragioniere, sicuramente meno nobile, meno responsabile e meno serio del montatore di tralicci, non sa trarre dignità, libertà e felicità dal rapporto con il proprio lavoro.
Essere figli del secolo intorno alla metà degli anni Sessanta significava per Levi essere affetti da erostratismo (il nome deriva da Erostrato, un vecchio pastore greco del IV secolo a.C.), cioè dall’insana tendenza a commettere le peggiori nefandezze solo per rendersi famosi, per farsi ricordare da tutti, per passare alla storia, per cercare in qualunque modo, anche nel male, di immortalare se stessi e la propria immagine, per compiere in particolare misfatti solo “per vedere che effetto fa”. Ma – ci domandiamo – se quella inclinazione era in auge già allora, cioè sia mezzo secolo fa sia al tempo dell’antica Grecia, che dire oggi, nell’epoca dello smartphone?
Al di là della stravaganza, Levi cerca insomma di sottolineare in quella vicenda la pericolosità insita nell’irresponsabile esibizionismo di un uomo all’apparenza normale come Gilberto Gatti. Un uomo che – esordisce la voce narrante (un tipo come Levi d’altronde, visto che anche lui è un chimico) – non dovrebbe mai, assolutamente mai, venire in possesso del nuovo ritrovato della tecnica, il Mimete, un duplicatore tridimensionale. Si tratta di un’anticipazione dell’attuale Stampa 3D, grazie alla quale si possono realizzare, per sottrazione o per addizione di materiale, oggetti tridimensionali acquisendo le immagini con uno scanner 3D. Proprio a causa della sua rischiosità, infatti, il Mimete verrà ritirato dal commercio con un decreto solo dopo tre mesi dalla sua immissione sul mercato. Esso avrebbe dovuto essere adoperato rispettando certe regole, precisi parametri e limiti, ma potenzialmente era capace di duplicare qualunque cosa di qualsiasi grandezza. Ed è probabilmente per aver fatto qualche “porcheria”, smanettando un po’ troppo con il suo Mimete, per non aver cioè osservato le regole sancite da quel decreto, che il narratore stesso si farà alcuni giorni di carcere. Malgrado ciò egli temeva qualcosa di peggio: paventava che quello strumento potesse finire nelle mani del suo amico Gilberto, il quale, per il suo erostratismo, sarebbe stato capace di combinare ben altri disastri. Riuscendo infatti inspiegabilmente a farsi recapitare dalla ditta costruttrice – la NATCA, la stessa che progetta e produce cervelli elettronici (Minibrain), strumenti a ultrasuoni per strumentalizzare il volo delle libellule, persino congegni per misurare la bellezza (Calometri), apparecchi per creare versi (Versificatori), addirittura Turboconfessori –, riuscendo quindi a farsi arrivare a casa una maggiore quantità di materiale duplicante (il pabulum, una misteriosa miscela per l’alimentazione dell’apparecchio), e costruendosi lui stesso un macchinario più grande in cui inserire quel materiale, Gilberto duplica la moglie, e, per ovviare ai problemi che gli comporterà la doppia consorte, deciderà persino di auto-duplicarsi.
«Leggere Levi non è mai tempo perso», osserva giustamente ancora Tesio in quel suo saggio già citato. E oggi vale sicuramente la pena rileggere questa breve storia naturale di Levi, non solo per rilevare la sua veggenza, la sua capacità di cogliere semi distopici all’interno dell’utopia ottimistica del progresso, del tanto decantato boom economico-industriale; non soltanto quindi per ravvisare un vizio, una radice maligna e contagiosa in seno alla bella forma delle istituzioni e dei progetti umani, ma soprattutto per mettere in guardia le nostre società contemporanee da uomini normali come Gilberto Gatti, i quali solo per vedere che effetto fa un certo esperimento e per soddisfare in tal modo il proprio egoismo malsano, non esitano a mettere a repentaglio la vita degli altri, anche quella dei loro stessi familiari. È importante quindi rileggere questo racconto perché oggi, meglio e più di ieri, la tecnologia mette a disposizione strumenti che favoriscono l’erostratismo. Non solo. Se da un lato questi dispositivi stimolano l’esibizionismo, dall’altro funzionano come una specie di anello di Gige, il monile che nel mito greco rendeva invisibili coloro che lo possedevano; e nessuno, ammoniva Platone nella Repubblica, saprebbe resistere e rinunciare al godimento che procura un tale potere. Sicché oggi, grazie a internet, il modello Erostrato esorta a quel protagonismo che non esita a violentare gli altri pur di affermare se stessi (anche solo per un quarto d’ora), e al contempo il modello Gige incita e consente di esercitare la violenza garantendosi l’anonimato (come nel cyberbullismo). In entrambi i casi, come si vede, una quota di violenza viene raggiunta, in modo palese o occulto, direttamente o indirettamente, volontariamente o involontariamente. Anche se il soggetto violento – lo vediamo sempre più spesso nelle nostre città e nel nostro tempo – non ama restare troppo tempo all’ombra e, scalpitando, ricerca sempre qualcuno che possa legittimarne l’azione violenta.
Pertanto, se uno Stato non considerasse il dialogo e la diplomazia come mezzi efficaci e sufficienti per risolvere i contrasti con altri Stati o con un avversario interno, se esso non ripudiasse la guerra, a quale migliore strumento di formazione e di persuasione di massa potrebbe ricorrere se non a internet e all’intelligenza artificiale? Prima o dopo ci sarà sempre qualcuno, un Gilberto Gatti qualsiasi che, tutelato e stimolato per tempo nel suo dannoso egoismo, si sentirà disponibile alla fine a premere un certo pulsante, anche solo un grilletto, solo per vedere l’effetto che fa.